- La comparsa delle divergenze nella Teoria Quantistica dei Campi
- La rinormalizzazione
- La rinormalizzabilità come criterio per selezionare le teorie
- Problemi legati alla rinormalizzazione
- Cosa significa “espansione perturbativa”?
- Le critiche nei confronti della rinormalizzazione
La maggior parte della moderna fisica delle alte energie, compreso il modello standard della fisica delle particelle, è formulata per mezzo della Teoria Quantistica dei Campi perturbativa, cioè è espressa tramite espansioni perturbative (termine che verrà approfondito in seguito) di teorie di campo libero.
La comparsa delle divergenze nella Teoria Quantistica dei Campi
Quando l’espansione perturbativa viene eseguita in modo ingenuo, genera divergenze, cioè quantità che risultano infinite, invece di essere, come ci si aspetterebbe, piccole o infinitesime.
In genere, tali divergenze sono dovute a integrali non convergenti e la loro presenza suggerisce che l’espansione perturbativa, probabilmente, non è stata svolta nel modo più intelligente o efficace.
Con l’aiuto di alcune tecniche, come l’aggiunta di un cosiddetto “cutoff“, le quantità che divergono (cioè che “vanno a infinito”) possono essere rese (temporaneamente) finite.
A quel punto possono essere manipolate attraverso varie tecniche matematiche come le riparametrizzazioni. Chiaramente, se una divergenza scompare cambiando la parametrizzazione della teoria, non si tratta di una vera divergenza, ma solo di un errore dovuto a una scelta infelice delle variabili. Se esiste una riparametrizzazione che fa scomparire tutte le divergenze, allora la teoria è effettivamente convergente.
Le divergenze possono essere “messe a posto” eseguendo ogni sorta di operazione che, in circostanze normali, lascia invariata la fisica, come la modifica delle variabili di campo e la ridefinizione dei parametri appunto, in particolare delle costanti di accoppiamento.
La rinormalizzazione
La rinormalizzazione consiste, quindi, in una riparametrizzazione che sposta le divergenze “al posto giusto”, ammesso che tali posti esistano. Nelle teorie più semplici, i campi e gli accoppiamenti vengono semplicemente moltiplicati per delle costanti, in situazioni più complicate, le ridefinizioni possono anche essere di tipo non polinomiale. Una volta che la teoria è stata rinormalizzata, il cutoff può essere tranquillamente rimosso e le quantità fisiche acquistano un vero significato.
La riparametrizzazione, quindi, risolve il problema delle divergenze e ci permette di definire la corretta espansione perturbativa. Sotto certe ipotesi, piuttosto generali, è sempre possibile assorbire le divergenze nelle riparametrizzazioni. Tuttavia, il prezzo può essere considerevolmente alto: in alcuni casi ciò richiede l’introduzione di un numero infinito di nuovi parametri indipendenti, un fatto molto problematico.
Se invece le divergenze possono essere eliminate mantenendo finito il numero di parametri indipendenti, la teoria è detta rinormalizzabile. Le teorie rinormalizzabili acquisiscono uno status molto speciale tra tutte le teorie, come potrete facilmente immaginare.
La rinormalizzabilità come criterio per selezionare le teorie
La rinormalizzabilità fornisce un modo per selezionare le teorie e questo ci dà una ragione per scartare un enorme insieme di teorie che altrimenti dovrebbero essere incluse a priori. Tra l’altro, nessuna teoria fisica in più di quattro dimensioni sopravvive alla selezione, il che rende la rinormalizzazione un buon candidato per spiegare perché viviamo in quattro dimensioni.
L’insieme delle teorie rinormalizzabili contiene il modello standard nello spaziotempo piatto. Pertanto, ci permette di spiegare tre interazioni della Natura su quattro. Purtroppo, non si conosce un modo per formulare la teoria di gravità quantistica in modo da includerla nell’insieme delle teorie rinormalizzabili.
Problemi legati alla rinormalizzazione
Ritornando nel merito delle tecniche di rinormalizzazione, inserire un parametro (il cutoff) per poi rimuoverlo è un trucco matematico come tanti. In un certo senso, è solo un “tecnicismo”, e la maggior parte del lavoro di rinormalizzazione sembra, di fatto, essere una questione piuttosto tecnica. Tuttavia, tecnicismi come questo possono avere conseguenze estremamente importanti e impreviste, e influenzare notevolmente le previsioni fisiche della teoria.
Ne è un esempio il fatto che le cosiddette teorie invarianti di scala possono improvvisamente diventare dipendenti dalla scala, così come le costanti di accoppiamento possono diventare dipendenti dall’energia (e quindi non più costanti), le interazioni forti possono diventare deboli, le particelle con vita eterna possono decadere. Il motivo per cui le riparametrizzazioni utilizzate per eliminare le divergenze non lasciano la fisica completamente invariata è proprio insito nella natura stessa delle divergenza.
Infatti, ironia della sorte, le divergenze sono le grandezze meglio conosciute della Teoria Quantistica dei Campi, tanto che alcune quantità fisiche possono essere calcolate esattamente a tutti gli ordini, a causa dell’intima relazione che esse hanno con le divergenze.
Attualmente, la Teoria Quantistica dei Campi perturbativa è il risultato teorico di maggior successo della fisica delle particelle elementari. Alcuni suoi aspetti sono così profondi che la maggior parte dei fisici ha bisogno di anni e anni per coglierne il vero significato. In un certo senso, il divario concettuale tra la Teoria Quantistica dei Campi e la meccanica quantistica può essere paragonato a quello tra la meccanica quantistica e la meccanica classica. Molti fisici, nel corso degli anni, sono rimasti perplessi di fronte al principio di indeterminazione e non hanno mai accettato che potesse far parte della descrizione ultima della natura. Oggi, alcuni fisici considerano ancora le divergenze come patologie e pensano che la rinormalizzazione sia un modo per nascondere sotto il tappeto ciò che non capiamo.
Cosa significa “espansione perturbativa”?
Le teorie interagenti sono definite dall’espansione perturbativa intorno ai loro limiti di campo libero. Sebbene sembri un processo semplice, l’espansione perturbativa della Teoria Quantistica dei Campi comporta in realtà un enorme progresso concettuale rispetto alle nozioni a cui siamo abituati.
Per chiarire questo punto, vale la pena di prestare attenzione a ciò che facciamo quando approssimiamo normalmente. Ad esempio, se abbiamo delle equazioni differenziali complicate che vogliamo risolvere, può capitare che conosciamo alcune classi di soluzioni esatte, ma che in genere non coprono i casi di interesse fisico. Ci rendiamo conto che alcune situazioni fisiche sono solo leggermente diverse da quelle descritte dalle soluzioni esatte, quindi elaboriamo altre soluzioni espandendole perturbativamente intorno a quelle esatte. Ciò che è importante per la nostra discussione è che stiamo parlando di un problema ben definito, descritto da equazioni difficili, ma ben definite. Quindi, approssimiamo. Approssimiamo qualcosa che esiste, qualcosa che esisteva prima dell’approssimazione.
Nella Teoria Quantistica dei Campi, invece, dobbiamo davvero partire dal nulla, a parte il limite del campo libero. Non ci sono equazioni, né teoria, prima di introdurre le approssimazioni. Quindi, quando diciamo che espandiamo perturbativamente intorno alla teoria del campo libero, in realtà stiamo mentendo: non stiamo espandendo affatto.
La verità è che stiamo costruendo perturbativamente la teoria interagente, pezzo per pezzo, a partire da quella di campo libero. L’impresa che stiamo intraprendendo è un’impresa creativa, non un semplice processo deduttivo. Pertanto, se qualcosa va storto lungo il percorso, il fatto non costituirà una vera e propria sorpresa. Per risolvere i problemi che emergono, dobbiamo essere sempre più creativi. In particolare, dobbiamo costruire da soli la matematica di cui abbiamo bisogno. Inoltre, ogni volta che troviamo una difficoltà e azzecchiamo una possibile soluzione, dobbiamo ricominciare daccapo, implementare la soluzione proposta fin dall’inizio. Da un lato può sembrare un procedimento poco fondato da un punto di vista concettuale, d’altro canto, se non avessimo nemmeno questa possibilità, probabilmente non avremmo modo di fare progressi nella fisica delle alte energie.
Le critiche nei confronti della rinormalizzazione
Diverse persone, compresi molti fisici, avanzano dei dubbi nei confronti delle tecniche di rinormalizzazione, ipotizzando che una teoria corretta e definitiva debba essere finita fin dall’inizio, cioè una teoria senza divergenze. Tale ipotesi risulta attraente per alcuni (per ragioni piuttosto soggettive e “umane”), ma piuttosto restrittiva. Avendo imparato che possiamo eliminare le divergenze, non abbiamo più bisogno di richiedere che siano assenti fin dall’inizio. Se si insiste sul fatto che la teoria finale debba essere finita, si dovrebbe anche spiegare come mai siamo in grado di dare un senso (ben fondato, in accordo con un’enorme quantità di dati sperimentali) alle teorie che non sono finite e perché dovremmo privilegiare un piccolo sottoinsieme delle teorie che possiamo di fatto ottenere, visti i successi continui ottenuti grazie al modello standard.
Fonti:
- Damiano Anselmi: “Renormalization” – pubblicazione indipendente (2019);
- Steven Weinberg: “The Quantum Theory of Fields Vol.2” – Cambridge University Press (2013);
- Peskin, Schroeder: “An Introduction To Quantum Field Theory” – Westview Press (1995).
