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Pensiamo davvero? Riflessioni sull’intelligenza artificiale e sull’idea di pensiero

Una delle domande più ricorrenti, oggi, nel dibattito sull’intelligenza artificiale è se questi sistemi “pensino davvero”. Si tratta di una questione affascinante, per certi versi profonda, che se vogliamo richiama anche temi filosofici antichi. Un’altra domanda molto interessante, però, è se noi pensiamo davvero, o meglio: se ciò che chiamiamo abitualmente “pensiero” corrisponda davvero a ciò che riteniamo essere una forma di coscienza consapevole, deliberata e razionale.

Perché in molti casi, quando siamo convinti di ragionare in modo autonomo e complesso, pertanto profondamente diverso da ciò che pensiamo che facciano le IA, ciò che guida le nostre scelte e riflessioni è una combinazione di automatismi, schemi appresi, istinti e impulsi formatisi ben prima che ci ponessimo consapevolmente la domanda. Ed è interessante notare come molte di queste strutture non siano frutto di un ragionamento logico, ma il risultato di esperienze corporee, sensoriali ed emotive vissute durante l’infanzia, o assimilate socialmente in modo inconscio.

La comprensione come associazione

Quando diciamo di aver capito qualcosa, cosa intendiamo esattamente? Se mi trovo a riflettere su un concetto della fisica, ad esempio quello di forza, e ho la sensazione di averlo compreso, ciò che accade in realtà è che quel concetto si collega a esperienze pregresse. Il significato che attribuiamo a “forza” deriva molto spesso da episodi concreti, come aver cercato di spingere un oggetto pesante da piccoli, o aver visto un pallone accelerare sotto l’effetto di un calcio. Non comprendiamo la forza partendo da un sistema assiomatico, ma a partire da esperienze sensibili, da analogie, da immagini mentali radicate in eventi vissuti.

Questo tipo di associazione è in realtà il fondamento stesso del nostro pensiero. Il neurologo e neuroscienziato Antonio Damasio, in opere come L’errore di Cartesio (1994), ha sottolineato quanto il pensiero razionale si fondi in realtà su strutture emotive e corporee. Non c’è separazione netta tra corpo e mente: le emozioni e le percezioni corporee sono parte integrante del nostro processo decisionale, anche quando crediamo di essere nel pieno della razionalità.

Il pensiero come automatismo

Questa visione del pensiero umano mette in crisi molte certezze, soprattutto se la confrontiamo con il funzionamento delle IA. Gli attuali modelli di linguaggio, ad esempio, come quelli basati su reti neurali di tipo transformer, non ragionano nel senso umano del termine, ma operano su un’enorme base di dati, producendo risposte in modo statistico, associativo. Eppure, in molte situazioni, il tipo di risposta che generano è indistinguibile da quella umana. Questo dovrebbe spingerci a chiederci: se una IA riesce a rispondere come noi, senza “capire” nel senso cosciente del termine, siamo certi che noi invece stiamo davvero comprendendo ogni ragionamento che produciamo?

Lo psicologo Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia, ha descritto nel libro Thinking, Fast and Slow (2011) due modalità di pensiero: il “Sistema 1”, rapido e intuitivo, e il “Sistema 2”, più lento, riflessivo e analitico. La maggior parte delle decisioni quotidiane, sostiene Kahneman, è presa dal Sistema 1, in modo automatico, senza passare da una riflessione consapevole. Il pensiero cosciente entra spesso solo a posteriori, per giustificare una decisione già presa.

IA e coscienza: una falsa contrapposizione?

Quando ci chiediamo se le intelligenze artificiali siano coscienti, è inevitabile che il confronto si sposti sull’ovvia nozione di coscienza. Ma questa nozione, nel caso umano, è tutt’altro che chiara. La neurobiologia, pur avendo compiuto enormi progressi, non è ancora in grado di spiegare con esattezza cosa sia la coscienza, da dove emerga, e se sia una proprietà necessaria per produrre comportamenti intelligenti.

Douglas Hofstadter, nel suo celebre Gödel, Escher, Bach (1979), esplora proprio questa zona grigia tra coscienza, automazione e intelligenza, suggerendo che la nostra mente potrebbe essere il risultato di un insieme di loop autoriflessivi e schemi ricorsivi. Una complessità stratificata che dà origine a una forma di auto-percezione, ma che non esclude la possibilità che anche strutture non biologiche, in teoria, possano sviluppare qualcosa di analogo.

Ma anche senza entrare nel dibattito sulla machine consciousness, la questione fondamentale rimane: quando pensiamo di pensare, stiamo davvero creando qualcosa di nuovo, oppure stiamo semplicemente riorganizzando informazioni già presenti nel nostro sistema, un po’ come fa una macchina? In fondo, anche il nostro linguaggio è appreso per imitazione, rinforzo e abitudine. Le frasi che costruiamo ogni giorno sono generate da combinazioni statisticamente probabili di parole che abbiamo sentito in contesti simili.

Chi sta pensando, allora?

L’elemento che spesso viene portato a difesa dell’intelligenza umana è la capacità di introspezione. Ma anche qui, la psicologia cognitiva ci mette in guardia: secondo studi come quelli del neurofisiologo e psicologo Benjamin Libet, molte decisioni vengono prese dal cervello prima ancora che noi ne siamo coscienti. La nostra sensazione di agire in modo libero e deliberato potrebbe dunque essere, almeno in parte, un’illusione costruita a posteriori.

Tutto questo non significa che non siamo intelligenti, o che non pensiamo affatto. Significa però che il pensiero non è sempre ciò che immaginiamo che sia. Non è solo razionalità fredda, né un atto isolato di volontà. È una rete complessa di influenze, memorie, predisposizioni, affetti, automatismi, esperienze vissute e sedimentate nel tempo. E in questa rete, anche la coscienza, per quanto centrale, potrebbe essere solo un nodo tra gli altri, e non necessariamente quello dominante.

Alla luce di queste riflessioni, forse la domanda su cui soffermarci non dovrebbe essere: “Le IA pensano come noi?”, ma: “Noi pensiamo nel modo in cui crediamo di pensare?” e le IA in questo potrebbero aiutarci a chiarire i nostri dubbi.
Perché se il pensiero umano è meno cosciente, meno libero, meno originale di quanto ci piace credere, allora il confronto con l’intelligenza artificiale non è un confronto tra due mondi separati, ma tra due varianti di un medesimo processo: l’elaborazione dell’informazione a partire da input esterni.

E magari, prima di interrogarci sulle capacità cognitive delle macchine, dovremmo imparare a conoscere meglio i meccanismi del nostro stesso pensiero. A partire da lì forse potremo capire davvero che cosa significhi pensare.

2 risposte a “Pensiamo davvero? Riflessioni sull’intelligenza artificiale e sull’idea di pensiero”

  1. Salve. La ringrazio per l’interessante contenuto pubblicato. Essendo io uno studente di psicologia, sono a chiedervi se potreste fornirmi degli articoli scientifici e dei libri che trattano del rapporto tra coscienza e la meccanica quantistica. Attendendo vostra risposta…vi porgo un sincero ringraziamento per la vostra preziosa opera di divulgazione.

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  2. Concordo . Parlare di “Coscienza” è la Grande Domanda. Si conosce molto di più di Fisica e Cosmologia passata e futura. Ho letto il libro di Hofstader. Tra i prossimi dieci libri da leggere ho in coda :” Come il cervello crea la nostra coscienza ” di Anil Seth. Sfogliandolo brevemente mi sembrerebbe accessibile, al contrario dell’ “Enigma della coscienza” di Enrico Facco, per me un enigma totale…

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