C’è una cosa che con l’arrivo delle intelligenze artificiali stiamo facendo finta di non vedere, cioè il fatto che gli LLM hanno democratizzato la produzione creativa a un livello che non avevamo mai visto prima. Parlo della possibilità, finalmente reale, per persone che finora non avevano la forza, gli strumenti o la stabilità per trasformare un’idea in un risultato, di farlo. È un cambiamento enorme, che tocca in profondità chi per tutta la vita si è sentito “capace ma bloccato”, pieno di intuizioni ma incapace di tradurle in qualcosa di concreto. Ed è un cambiamento soprattutto per quelle persone che, per motivi completamente fuori dal loro controllo, sono state schiacciate in percorsi scolastici che non erano pensati per loro.
La scuola italiana, bisogna riconoscerlo, è cambiata molto negli ultimi anni. Ha introdotto i DSA, ha predisposto strumenti compensativi, ha sviluppato percorsi personalizzati, ha provato ad aprirsi in molti sensi. E ci sono insegnanti che fanno un lavoro incredibile, con sensibilità e preparazione. Ma accanto a questo resta il fatto che tantissime persone neurodivergenti, con disturbi dell’attenzione, iperattività, disorganizzazione cronica, instabilità, difficoltà a mantenere la concentrazione, sono state comunque penalizzate per anni da una scuola che premia soprattutto chi riesce a funzionare “bene” in un contesto che richiede ordine, ripetizione, gestione lineare del tempo, resistenza alla noia e capacità di stare seduti per lunghi periodi. Non è una colpa individuale, è un effetto che emerge da un sistema, da un modello che ha escluso, implicitamente, tutto ciò che non rientrava nei suoi ritmi.
E qui non c’è molto da andarci leggeri, ci sono vite che si sono rovinate per questo. C’è chi per anni, o per tutta la vita, si è sentito sempre mezzo passo indietro, sempre fuori tempo, sempre “non abbastanza”. Persone intelligenti, brillanti, creative, che però non riuscivano a mettere insieme ciò che pensavano e a produrre ciò che la scuola chiedeva. E a volte sarebbe bastato pochissimo: una guida più attenta, un metodo alternativo, un supporto personalizzato, un docente che capisse davvero cosa stava succedendo. Quel minimo di aiuto che tante figure avrebbero dovuto dare e non sempre hanno dato, non per cattiveria, ma per mancanza di strumenti, tempo, formazione, sensibilità o semplicemente perché il sistema non permetteva di farlo davvero.
Oggi questo “aiutino minimo”, paradossalmente, lo può dare un’intelligenza artificiale. Un modello di linguaggio non giudica, non perde la pazienza, non dice “sei lento”, non dice “non ti impegni”, non dice “non sei portato”, non dice “così non andrai da nessuna parte”. Prende le idee così come arrivano, sparse, confuse e incomplete, e te le rimette davanti in una forma che puoi finalmente usare. Non sostituisce il pensiero, ma gli dà struttura. Non fa al posto tuo ciò che devi capire da solo, ma ti permette di accedere a ciò che prima era separato da te da un muro di difficoltà esecutive. E questo, per alcune persone neurodivergenti, è il momento in cui il mondo smette di essere un percorso ad ostacoli e diventa un luogo in cui finalmente si può partecipare in modo sensato.
Certo, per alcuni questo è spaventoso. Spaventa l’idea che persone che finora non potevano competere ora possano farlo, e anche molto bene. Spaventa che i criteri con cui abbiamo giudicato “chi merita” e “chi no” siano meno solidi di quanto pensassimo. Spaventa che tutti quei “sei svogliato”, “non ti impegni”, “non sei portato”, “non hai futuro” possano rivelarsi semplicemente falsi, detti non per cattiveria ma per ignoranza del modo in cui funzionavano certe menti. Spaventa che qualcuno che a scuola era considerato “un disastro” ora riesca a produrre lavori migliori di chi è sempre stato perfettamente inserito all’interno del modello-scuola. E spaventa perché dimostra che, se queste persone avessero ricevuto anche solo una frazione dell’aiuto che gli LLM danno oggi, magari la loro vita sarebbe stata un’altra. Magari non avrebbero mollato, non avrebbero fallito, non si sarebbero convinti di non valere niente. Magari avrebbero avuto l’occasione di esprimersi davvero.
La democratizzazione creativa è la possibilità concreta che chi ha sempre avuto il potenziale e non ha mai avuto i mezzi ora possa finalmente esprimersi. Ed è un cambiamento che va preso sul serio. Perché gli LLM non sono una bacchetta magica e non risolvono i problemi profondi, ma rimuovono una parte degli ostacoli che per tanti erano insormontabili. Non democratizzano il talento, ma la possibilità di usare quel talento. Offrono quel supporto minimo, quell’ordine, quel primo passo.
Se c’è un’evidenza che questa tecnologia ci sta mettendo di fronte non è la superiorità delle macchine, ma il fatto che, per anni, una parte enorme della popolazione è stata esclusa non per mancanza di capacità, ma per mancanza di accesso. Ora che quell’accesso esiste, la domanda vera non è “cosa farà l’IA alla scuola?” ma “cosa farà la scuola di questa nuova possibilità?”. Per questo, però, mi sono già espresso in altri articoli. Perché se davvero crediamo che il valore di una persona non stia nella sua capacità di stare tre ore seduta a un banco, allora questa è l’occasione per dimostrarlo. Ed è anche la prova che tante vite non erano fallimenti annunciati, ma talenti non ascoltati.
Ovviamente tutto il discorso appena fatto non vale per tutti, ma credo che non serva spendere tempo su questo. A buon intenditor poche parole.
Una replica a “L’IA e la rivoluzione di cui nessuno parla”
Un aspetto interessante degli LLM (almeno quelli mainstream) è il livello di moderazione che mantiene ogni interazione su un piano logico e razionale (non togliendo nulla alla creatività, che appunto è una prerogativa umana); questo si contrappone ai social popolati da ogni genere di urlatori e forse è una svolta positiva per la conoscenza su Internet, come agli inizi quando i siti erano principalmente quelli accademici e universitari.
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